PRESENTAZIONE
Carlo Patini, nato nel 1941, dopo una scuola elementare con una bravissima maestra ottantenne e un liceo con un professore appassionato della lettura, di qualunque genere purché di qualità, decise di progettare il suo futuro come architetto, affascinato più da antiche mappe e reperti archeologici che dallo ‘spingere il sedere alla matita’ come gli ripeteva spesso un compagno di studi. Ma un forte richiamo gli venne un giorno, quando, durante un’assidua frequentazione dell’Egitto, mentre si aggirava tra le piramidi, più archeologo dilettante che semplice turista, si trovò di fronte a un sarcofago incustodito. “Mai aprire un sarcofago di sera” gli aveva detto una giovane guida improvvisata. Ma la tentazione ebbe la meglio e quel giorno, sollevato il coperchio, fu investito da un’onda di polvere e dall’impressione che sapesse di mummia. Fu proprio lì, tra quelle sabbie, che nacque in lui la voglia di scrivere, come se ogni sarcofago aperto sussurrasse un nuovo racconto.
Dopo anni di viaggi, incontri e tramonti sul Nilo con un bicchiere di vino bianco, rigorosamente ghiacciato, ha deciso di raccogliere 21 racconti in una piccola antologia dal titolo Mai dopo cena. Perché ci sono storie che è meglio non affrontare prima di andare a dormire.
IL NUOVO LIBRO
“Mai Dopo Cena”
Ventuno racconti brevi in un viaggio tra il quotidiano e l’inspiegabile.
In Mai Dopo Cena, l’autore invita a esplorare quel mondo spesso taciuto, fatto di pensieri nascosti, paure che si insinuano sotto la pelle, e riflessioni che, proprio come i sogni, sfuggono alla logica ma svelano, a volte, verità profonde. Con ventuno racconti che oscillano tra realtà e surreale, l’autore mette in scena personaggi alle prese con destini imprevisti e misteri che sembrano usciti dalle pieghe più profonde della psiche umana.
L’inquietudine emerge dalle situazioni più banali, trasformando il quotidiano in una lente per scrutare dentro di noi. I protagonisti si trovano così a sfidare se stessi, a fare i conti con l’assurdo e a rivelare quel confine sottile tra normalità e anormalità, tra conscio e inconscio.
Chi desidera affrontare un’immersione in un universo dove ogni riflessione è una scoperta e ogni racconto è uno specchio che riflette un lato nascosto della nostra umanità, Mai Dopo Cena è un invito da assecondare la ricerca. Una raccolta che non si limita a raccontare, ma costringe il lettore a guardare oltre, a esplorare ciò che c’è dietro gli eventi, fino a quel punto in cui il familiare diventa misterioso e il misterioso diventa familiare.
LA GENTE LEGGE?
Credo che ‘fare pubblicità risponda all’esigenza di soddisfare ciò l’utenza chiede, spesso ad insaputa dell’utenza stessa.
Un recente messaggio pubblicitario dice: …i classici, una volta letti, possono essere anche gettati via, tanto …a che serve leggerli due volte. Si tratta di un messaggio che fa intendere un superficiale interesse alla lettura? Magari solo alle letture impegnative?
Libri non se ne vendono a sufficienza? E meno che mai si conservano? E le letture in forma digitale? Non ne so molto. Amo l’oggetto ‘libro’. Come ha detto il Prof. Eco il ‘libro’ non morirà mai… ma si tratta dell’oggetto, di quella cosa che si tocca, si conserva, si torna ad aprire, si rilegge, si metabolizza.
Comunque chiedere se la gente legga poco o pochissimo non ha molto senso se non si riesce a distinguere cosa si legge e a capire che uso si fa della lettura. Penso che in generale si legga poco. Lo dimostra il fatto che tutti parlano di tutto, mentre sono convinto che più si legge e più si sta in silenzio.
CREDO IN DIO?
Se la domanda è: “Cosa significa avere fede in Dio?”, direi che è una di quelle domande a cui è quasi impossibile dare una risposta certa. Ed è altrettanto difficile sapere se quello che le persone – me compreso – rispondono, sia davvero ciò che sentono dentro, o se è solo una risposta di circostanza, un modo per evitare la domanda o per aggirarla con una maschera di sicurezza.
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto una strana fascinazione per chiese, luoghi di culto, cimiteri… sono attratto da questi spazi come da antichi scrigni di storia e silenzio. Ma, allo stesso tempo, rifuggo da eventi o manifestazioni che si presentano come miracoli o magie: preferisco rimanere nei limiti di una curiosità genuina, forse banale. Non so se questo si possa chiamare fede, ma sicuramente ci sono domande che mi fanno guardare verso l’alto.
Mi capita di leggere la Bibbia, di perdermi nelle sue storie, di appassionarmi a quei racconti che, spesso, aprono la porta a nuovi dubbi: chi ha scritto quelle storie cosa voleva davvero comunicare? Mi ritrovo immerso nelle pagine, ma altrettanto spesso mi interrogo sul significato profondo di ogni frase, e persino sulla personalità di chi l’ha scritta.
Poi ho un pensiero ricorrente, quel concetto di infinito che torna a scuotere le mie certezze. Vivo in un mondo fatto di cose finite, concrete, tangibili, e l’unica idea di infinito che ci è concessa è quella dell’universo stesso. Ma quando rifletto su questo, quando mi immergo in quel senso di vertigine, mi sembra di percepire qualcosa di oltre, qualcosa che trascende la mia comprensione. Forse è questo un barlume di fede? Forse l’ombra di un’Entità originaria che sfugge alle definizioni? Non so se sia fede, ma so che è una domanda che non smette mai di chiamare una risposta.
PROSSIMI PROGETTI
Scrivere, scrivere, e ancora scrivere. Non per diventare ricco con ciò che scrivo, ma per affrontare quei mostri che mi porto dentro da molto tempo. Sono tanti, e molti di loro si fanno riconoscere con difficoltà. A quanto pare, nonostante l’età, non sono riuscito a cacciarli via. Dopo sofferta riflessione ho deciso di provare con uno psicologo.
Curiosamente, dopo aver letto un paio di miei racconti, lo psicologo ha dichiarato che valgono quanto una seduta terapeutica. Ora, che abbia detto così per pura disperazione o perché vedeva davvero del potenziale terapeutico, non saprei. Ma mi piace pensare che ogni parola, ogni pagina scritta sia una sorta di autoanalisi, una sonda lanciata nel mio mondo interiore per riconoscere quel territorio nebuloso che mi sfugge da sempre.
In realtà lo scrivere è diventato una specie di vaccino contro me stesso: basta una frase giusta e certi pensieri inquieti sembrano allentare la presa. Per ora mi basta questo. Scrivere è come un rituale, un antidoto, un modo per fare pace – o perlomeno, una tregua – con i miei fantasmi. E, in fondo, se serve a calmare le acque, anche solo un po’, vale la pena di continuare.
RINGRAZIAMENTI
Un grazie infinito alle mie due splendide figlie, che riescono a sorridere persino di fronte alle mie riflessioni più strampalate e, con pazienza sorprendente, sopportano le mie elucubrazioni. Sono sempre pronte a spronarmi a continuare. Masochismo? Forse. Ma è anche grazie a loro che non smetto.
A quegli amici – pochi o tanti non saprei – che mi dimostrano affetto senza riserve. Alcuni, dopo aver letto i miei racconti, mi hanno perfino suggerito, con aria seria, di “farmi vedere da uno bravo”. Lontano dall’essere preoccupati, credo abbiano voluto piuttosto sottolineare l’esistenza di una linea sottile che separa la quotidianità dal surreale. Prendo il consiglio come un complimento, un invito a lasciarmi guidare da un pensiero libero.
E infine, un ringraziamento speciale a tutti coloro che mi hanno letto. Sapere che hanno sfogliato le mie pagine, che si sono persi tra le righe e hanno esplorato i miei mondi – anche solo per un attimo – è una soddisfazione che non ha prezzo. Li ringrazio per la loro curiosità, il loro interesse e il loro sostegno. È bello pensare che, tra una riga e l’altra, ci siamo incontrati e capiti, almeno un po’.