Fuga dall’oscurità

Fuga dall'oscurità
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Di fronte a un’ombra nell’oscurità, è come se il cervello si spegnesse, come se tutte le connessioni tra i neuroni si dissolvessero in un istante. Non c’è logica, non c’è razionalità. Solo un abisso di puro terrore.

Il mio corpo si muove per istinto, cercando di evitare l’impatto imminente. Il suono degli pneumatici che stridono sull’asfalto si mescola con il mio urlo soffocato. L’auto esce di strada, travolgendo arbusti e piccoli alberi, finché non si ferma bruscamente contro un tronco. Il mondo attorno a me si dissolve in un turbine di vetro infranto e metallo contorto.

Resto immobile per un attimo che sembra eterno, cercando di riprendere fiato. Ogni parte del mio corpo urla di dolore, ma il panico è più forte. Con un gemito, mi costringo a muovermi, a uscire dall’auto. Non posso restare qui. Non posso aspettare che quei… quegli esseri mi trovino.

Strisciando fuori dal veicolo, mi appoggio al cofano, cercando di rimanere in piedi. La mia testa gira e il sangue mi pulsa nelle orecchie. Cerco di mettere a fuoco il paesaggio attorno a me, ma tutto è confuso, distorto dall’oscurità e dalla paura.

Devo andare via, mi ripeto. Devo andarmene da qui. Barcollando, mi dirigo verso la strada, sperando che qualche altra auto passi di lì. Ma ogni passo è una tortura, ogni rumore un possibile segnale del loro avvicinarsi.

All’improvviso, una luce appare in lontananza. Una macchina! Mi sbraccio, tentando di attirare l’attenzione del guidatore. La luce si avvicina, più brillante, più reale. La macchina si ferma di colpo e una figura ne esce correndo verso di me.

«Ramona!»

Riconosco la voce di Giulio, il sollievo mi travolge come un’onda. È vivo, è qui.

«Dobbiamo andare, subito!» grida, afferrandomi per il braccio e trascinandomi verso la macchina. Non c’è tempo per domande, per spiegazioni. Il solo pensiero è la fuga, la sopravvivenza.

Ci gettiamo nell’auto e Giulio ingrana la marcia, partendo a tutta velocità. Il cuore mi batte così forte che sembra voler esplodere. Guardo fuori dal finestrino, aspettandomi di vedere quelle creature inseguirci, ma c’è solo buio, un buio impenetrabile.

«Ce l’abbiamo fatta,» sussurro, quasi incredula.

Giulio mi guarda di sfuggita, il viso teso e pallido. «Non ancora. Ma ce la faremo.»

Continuiamo a guidare, allontanandoci sempre di più da quell’incubo, con la speranza che il mattino ci porti la salvezza.

La strada davanti a noi si srotola come un nastro nero sotto i fari dell’auto. Il silenzio tra di noi è carico di tensione, ogni suono esterno sembra amplificato nella notte. Giulio tiene lo sguardo fisso sulla strada, le mani strette sul volante. Ogni tanto getta un’occhiata allo specchietto retrovisore, come se si aspettasse di vedere qualcosa che ci insegue.

«Cos’erano?» chiedo finalmente, rompendo il silenzio. La mia voce è un sussurro tremante. Giulio scuote la testa, i lineamenti tesi. «Non lo so. Non so cosa siano. Ma so che non dobbiamo fermarci.»

Ci avviciniamo a un bivio e Giulio prende una curva stretta senza rallentare. Gli alberi ci sfrecciano accanto, le loro ombre deformate dai fari dell’auto. Un lampo di luce illumina il cielo dietro di noi, seguito da un fragore assordante. La terra trema leggermente e un’onda di calore ci investe.

«Cos’è stato?» chiedo, con il cuore che pulsa frenetico.

«Un’esplosione,» risponde Giulio. «Dobbiamo muoverci più velocemente.»

Accelera ulteriormente e la macchina sembra volare sulla strada sconnessa. Ogni scossone ci fa sobbalzare sui sedili, ma non possiamo fermarci. Non possiamo permettercelo. L’oscurità ci insegue e noi dobbiamo trovare un rifugio sicuro prima che sia troppo tardi.

La tensione è palpabile mentre attraversiamo la campagna deserta. I campi si estendono come un mare nero, interrotto solo occasionalmente da una casa isolata o da un fienile. Le ruote dell’auto sollevano nuvole di polvere, rendendo l’aria intorno a noi ancora più opprimente. Giulio continua a guidare a velocità sostenuta, senza accennare a fermarsi.

«Dove stiamo andando?» chiedo, la voce rotta dall’ansia e dalla stanchezza.

«C’è un posto,» risponde Giulio, senza staccare gli occhi dalla strada. «Un vecchio asilo abbandonato. Dovrebbe essere abbastanza sicuro per la notte.»

Un brivido mi percorre la schiena. Un asilo abbandonato non è esattamente il rifugio più rassicurante, ma al momento qualsiasi posto che ci tenga lontani da quelle creature va bene. Giulio sembra sapere cosa sta facendo, e mi affido alla sua determinazione.

Dopo un’ora di viaggio, finalmente vediamo l’edificio all’orizzonte. È una costruzione imponente, dalle mura scrostate e dalle finestre rotte, circondata da un alto cancello di ferro. L’auto rallenta e si ferma davanti all’ingresso principale. Giulio esce per primo, esaminando l’area circostante con attenzione.

«Vieni, dobbiamo entrare rapidamente,» dice, aiutandomi a scendere dall’auto. Le mie gambe sono rigide e doloranti, ma riesco a seguirlo. Il cancello cigola mentre lo spingiamo, il rumore sembra echeggiare nella notte.

All’interno, l’oscurità è totale. Giulio accende una torcia e illumina il corridoio polveroso davanti a noi. Il suono dei nostri passi risuona tra le pareti, un’eco inquietante che sembra amplificare ogni movimento.

«Dobbiamo trovare una stanza dove possiamo chiuderci dentro,» dice Giulio. «Dove saremo al sicuro.»

Attraversiamo diverse aule, tutte vuote e fredde. Infine, troviamo una stanza più piccola, con una porta robusta che sembra poter resistere. Entriamo e chiudiamo la porta dietro di noi, bloccandola con una vecchia sedia trovata lì vicino. La torcia illumina le pareti scrostate e i mobili rotti, ma c’è un senso di sicurezza nel sapere che almeno per ora siamo protetti.

Il silenzio nella stanza è quasi assordante. Mi siedo su una vecchia cattedra, cercando di calmare il battito del cuore. Giulio si appoggia alla parete, la torcia ancora stretta in mano.

«Cosa è successo davvero, Giulio?» chiedo finalmente. «Da dove sono uscite quelle cose?»

Lui sospira, abbassando lo sguardo. «Non lo so con certezza. Ma credo che siano legate a quel progetto di ricerca militare che abbiamo sentito alla radio. Stanno cercando di contenere qualcosa che è sfuggito al loro controllo.»

Mi sento gelare. «E tu come lo sai?»

Giulio mi guarda negli occhi. «Perché ci lavoravo, Ramona. Lavoravo per loro. Non nel progetto direttamente, ma sapevo cosa stavano facendo. Sapevo dei rischi.»

Le sue parole mi colpiscono come un pugno. «E non mi hai detto niente?»

«Non potevo,» dice, la voce spezzata dal rimorso. «Erano informazioni riservate. Ma quando ho capito che le cose stavano precipitando, ho cercato di trovarti. Volevo proteggerti.»

Resto in silenzio, cercando di elaborare le sue parole. Una parte di me è furiosa, ma un’altra parte capisce il suo dilemma. «E ora cosa facciamo?»

Giulio scuote la testa. «Dobbiamo sopravvivere. Aspettare che le autorità mettano sotto controllo la situazione. Ma finché non succede, dobbiamo stare all’erta e non abbassare mai la guardia.»

Il tempo sembra dilatarsi in quella stanza buia. Cerco di dormire, ma ogni suono mi tiene sveglia. Giulio è vigile, la torcia puntata verso la porta. Ogni tanto, sento dei rumori fuori, come se qualcosa si stesse avvicinando. Ogni volta il mio cuore perde un battito, ma niente accade.

Verso l’alba, il silenzio diventa più profondo. Giulio si rilassa leggermente, ma i suoi occhi restano vigili. «Credo che per ora siano andati via,» sussurra, come se avesse paura di svegliare qualcosa. «Dobbiamo muoverci prima che tornino.»

Usciamo dall’aula con cautela, cercando di fare meno rumore possibile. L’edificio è ancora avvolto nell’oscurità, ma fuori inizia a intravedersi la luce del giorno. La speranza cresce in me, speranza che il giorno possa portarci salvezza.

Mentre attraversiamo il corridoio, un rumore improvviso ci fa fermare. Giulio alza la torcia, illuminando una figura in piedi davanti a noi. È una donna, con gli occhi spalancati dal terrore.

«Chi siete?» chiede, la voce tremante.

«Siamo umani,» risponde Giulio, abbassando la torcia per non accecarla. «Stiamo cercando di sopravvivere. E tu?»

La donna sembra rilassarsi leggermente. «Mi chiamo Marta. Ero nascosta qui da ieri sera. Ho visto quelle cose… mi sono nascosta appena in tempo.»

«Vieni con noi,» dice Giulio. «Dobbiamo andarcene da qui.»

Lasciamo l’edificio insieme, il sole che sorge lentamente all’orizzonte ci dona una certa rassicurazione. Ma sappiamo che la luce del giorno non ci terrà al sicuro per sempre. Marta si unisce a noi, raccontandoci della sua fuga e di come ha perso il contatto con la sua famiglia.

«Devono esserci dei rifugi sicuri,» dice Marta. «Ho sentito parlare di un centro di emergenza nella città vicina. Forse possiamo trovarvi riparo.»

Giulio annuisce. «È una buona idea. Dobbiamo trovare un posto sicuro dove riorganizzarci e capire cosa fare dopo.»

Il viaggio verso la città vicina è lungo e pieno di ostacoli. Le strade sono disseminate di auto abbandonate e detriti. Ogni tanto vediamo segni di combattimenti, ma nessuna traccia di quelle creature. Forse stanno nascoste, aspettando la notte per emergere di nuovo.

Finalmente, arriviamo alla periferia della città. Il centro di emergenza è un grande edificio circondato da una recinzione di filo spinato. Soldati armati pattugliano l’area e ci fermano appena ci avviciniamo.

«Chi siete?» chiede uno di loro, puntando un fucile verso di noi.

«Siamo sopravvissuti,» risponde Giulio. «Abbiamo bisogno di aiuto.»

I soldati ci esaminano con attenzione, poi ci fanno entrare. All’interno, troviamo altri sopravvissuti, visi stanchi e spaventati come noi. Un ufficiale ci prende in carico, ascoltando la nostra storia.

«Avete fatto bene a venire qui,» dice. «Stiamo organizzando una risposta coordinata a questa crisi. Ma ci vorrà tempo.»

Mentre ci riposiamo, Giulio e io parliamo con l’ufficiale e altri sopravvissuti. Scopriamo che la situazione è più grave di quanto immaginassimo. Le creature hanno attaccato in diverse aree, e le autorità stanno ancora cercando di capire come fermarle.

«Abbiamo bisogno di tutte le informazioni possibili,» dice l’ufficiale. «Se qualcuno di voi sa qualcosa, deve dircelo.»

Giulio si fa avanti, condividendo ciò che sa sul progetto di ricerca. «Lavoravo per il governo,» spiega. «Sapevo che stavano conducendo esperimenti per sviluppare nuove forme di energia, ma non sapevo che stavano creando… mostri.»

L’ufficiale prende appunti, il volto serio. «Questo potrebbe aiutarci. Se riusciamo a capire come sono state create queste creature, forse possiamo trovare un modo per fermarle.»

Nei giorni seguenti, partecipiamo alle operazioni di emergenza, aiutando come possiamo. Marta si dimostra un’abile infermiera, assistendo i feriti. Io e Giulio collaboriamo con i tecnici e i soldati, cercando di trovare una soluzione alla crisi.

Lavoriamo giorno e notte, con la paura sempre presente, ma anche con una nuova determinazione. Sappiamo che la nostra sopravvivenza dipende dalla nostra capacità di adattarci e resistere.

Una notte, mentre stiamo discutendo delle prossime mosse, sentiamo un rumore forte fuori dal rifugio. Corriamo fuori, vedendo una luce intensa nel cielo. Un elicottero atterra nel campo, e da esso scende un gruppo di scienziati e militari.

«Abbiamo nuove informazioni,» annuncia uno degli scienziati. «Crediamo di aver trovato un modo per neutralizzare le creature. Ma avremo bisogno di tutto il vostro aiuto.»

Il piano è rischioso, ma non abbiamo scelta. Utilizzeremo una nuova tecnologia per emettere onde sonore ad alta frequenza, che dovrebbero disorientare e indebolire le creature. Ma per farlo, dobbiamo avvicinarci a uno dei loro nidi.

L’intera comunità si mobilita. Prepariamo l’equipaggiamento, ci armiamo di coraggio e ci dirigiamo verso il luogo indicato dagli scienziati. La notte è scura e piena di tensione. Ogni passo è un rischio, ogni rumore ci fa sobbalzare.

Finalmente arriviamo al nido. Le creature sono lì, in agguato nell’oscurità. Giulio e gli altri tecnici posizionano i dispositivi, mentre io e Marta restiamo dietro, pronti a intervenire se necessario.

«Siamo pronti,» annuncia Giulio. «Ora!»

I dispositivi si accendono, emettendo un suono acuto che riempie l’aria. Le creature urlano, contorcendo i loro corpi mostruosi. La luce dei dispositivi illumina la scena, rivelando l’orrore dei loro volti.

Le creature cadono una dopo l’altra, disorientate e indebolite dalle onde sonore. Giulio e gli altri scienziati lavorano senza sosta, monitorando i risultati. La battaglia sembra durare un’eternità, ma alla fine, il silenzio cala di nuovo.

Respiriamo a fatica, il sollievo mescolato alla stanchezza. «Ce l’abbiamo fatta,» sussurra Marta, abbracciandomi.

Giulio sorride, esausto ma felice. «Sì, ce l’abbiamo fatta.»

Tornati al rifugio, la notizia della nostra vittoria si diffonde rapidamente. I sopravvissuti si riuniscono, celebrando la fine dell’incubo. Ma sappiamo che il lavoro non è finito. La ricostruzione sarà lunga e difficile, ma siamo pronti a affrontarla insieme.

Mentre il sole sorge, illuminando un nuovo giorno, sento una nuova speranza crescere dentro di me. Abbiamo superato l’oscurità, e ora possiamo guardare al futuro con coraggio e determinazione. La fuga dall’oscurità è stata solo l’inizio.

Corrado Borgh

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